Roma – “Purtroppo nell’ambito di prevenzione del tumore ovarico non esistono ancora dei test di screening che siano efficaci in termini di diagnosi precoce e riduzione della mortalità. Questo tumore, ancora oggi, è al primo posto tra le cause di morte per tumore ginecologico”.
Così la dottoressa Chiara Cassani dell’Università degli studi di Pavia – Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia e membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’associazione nazionale aBRCAdabra ETS (nata per sostenere tutti i portatori della variante patogenetica dei geni BRCA1 e BRCA2 e le loro famiglie), nel corso di una intervista rilasciata alla Dire in occasione dell’intervento chirurgico a cui si è sottoposta Bianca Balti per l’asportazione di un tumore ovarico al terzo stadio. Le top model, che in passato si era già sottoposta ad una doppia mastectomia dopo aver scoperto di essere portatrice della mutazione genetica BRCA1, che aumenta il rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie, è stata dimessa oggi dall’ospedale.
“Anche l’ecografia transvaginale associata all’utilizzo dei marcatori tumorali- prosegue la dottoressa Cassani- non ha dimostrato di essere efficace in termini di diagnosi precoce. L’unica forma di prevenzione realmente efficace, soprattutto quando è presente una predisposizione genetica allo sviluppo del tumore ovarico (predisposizione che aumenta di circa 40 volte il rischio di sviluppare questo tumore rispetto alle donne non portatrici della mutazione) rimane l’asportazione preventiva delle ovaie e delle tube prima che queste sviluppino la malattia. Ed è questo quello che le Linee guida raccomandano”.
Ovviamente, ha spiegato l’esperta, questo deve essere valutato sulla base del tipo di mutazione, perché “per esempio tra BRCA1 e BRCA2 ci sono delle età differenti in cui l’intervento chirurgico è raccomandato: 35-40 anni per la mutazione BRCA1, 40-45 per la mutazione BRCA2.
Inoltre, deve dipendere anche dal desiderio della donna, perché si tratta di un intervento di prevenzione che ha comunque delle conseguenze, che sono da un lato l’impossibilità di avere figli dopo che ci si è sottoposti a tale intervento (a meno che non si sia proceduto alla raccolta preventiva delle uova oppure non si decida di farlo con altre tecniche oggi possibili, come quella dell’ovodonazione), dall’altro le conseguenze legate alla menopausa chirurgica prematura”.
Tutto questo, secondo la dottoressa Cassani, si traduce in quello che il counseling che “ogni donna portatrice di una variante di questo tipo dovrebbe ricevere, in modo da poter fare la scelta che è più giusta per lei. Per questo credo sia importante che passi il messaggio che al momento non abbiamo una metodica di screening per il tumore dell’ovaio e che è questo è il motivo per cui questi tumori, come accaduto a Bianca Balti, purtroppo vengono diagnosticati nel 70-80% dei casi quando la malattia è già fuori dall’ovaio, quindi in uno stadio avanzato. La chirurgia preventiva, quindi, è l’unica opzione che può mettere in sicurezza”.
Infine, la dottoressa Cassani ha voluto lanciare un messaggio: “Le donne portatrici di una variante devono essere seguite e valutate da specialisti che si occupano di questa problematica specifica, che possano offrire loro le migliori opzioni per la gestione del rischio oncologico in condivisione con le stesse donne, prospettando le opzioni di realtà. Non possiamo dire oggi che l’ecografia o l’utilizzo dei marcatori possa sostituire ciò che ad oggi tutte le Linee guida raccomandano, cioè l’asportazione preventiva delle ovaie e delle tube all’interno di un range d’età che è quello che deriva dalle evidenze scientifiche”, ha concluso.