Flow e Peak performance: la ricerca della felicità nello sport
- 6 Novembre 2017
Il concetto di felicità ha radici lontane, uno studioso di psicologia di origine ungherese Mihaly Csikszentmihalyi, da anni trapiantato negli USA, ha sviluppato il termine di Flow (letteralmente “flusso”, “corrente”, inteso come “esperienza ottimale”).
Lo studioso ungherese ha sviluppato il suo lavoro partendo da una riflessione di stampo aristotelico, ovvero che le persone sono costantemente alla ricerca della felicità e qualsiasi comportamento viene attutato in funzione del raggiungimento di questa ipotetica condizione.
Secondo Csikszentmihalyi la felicità non deriva dalla fortuna o dal caso e non è determinata da eventi esterni al di fuori del nostro controllo ma è strettamene legata alla nostra volontà e a come ognuno di noi interpreta gli eventi che accadono e le esperienze che compie.
“L’esperienza non è ciò che accade ad un uomo, ma è ciò che un uomo fa con ciò che gli accade”.
Quindi cosa c’entra il “Flow” con la ricerca della “felicità”? C’entra fondamentalmente perché le persone che sono in grado di mantenere il controllo delle proprie esperienze fanno fronte alla sfide che le impegnano al massimo senza richiedere però di andare oltre i propri limiti, sono quelle che sono maggiormente capaci di determinare la qualità della propria vita. Questo è il modo migliore per avvicinarsi alla condizione di felicità.
In linea con gli attuali indirizzi della Positive Psychology e con i risultati delle più recenti ricerche transculturali, che individuano il ruolo trainante dell’esperienza ottimale nel processo di sviluppo individuale, anche nella Psicologia dello Sport si registra una sensibile crescita di interesse per il Flow, o “stato di esperienza ottimale”.
Il Flow rappresenta quindi la modalità privilegiata per cogliere l’eccellenza della prestazione, concentrarsi su di esso e sulle condizioni che ne sono alla base e consente di tracciare un modello di ottimizzazione della performance, che vede, in particolare, nella preparazione mentale dell’atleta il suo punto focale.
Per avere un’esperienza ottimale si deve raggiungere un flusso continuo di attenzione concentrata, quindi, un’esperienza è percepita ottimale da un soggetto, quando la sua attenzione è completamente assorbita dal compito che sta svolgendo.
Il Flow quindi non è nient’altro che un’esperienza piacevole durante la quale si perde ogni cognizione del tempo; questo stato è facile da ottenere con attività molto stimolanti, come ad esempio facendo uno sport, che si pratica per passione e divertimento o svolgendo attività fisica quotidiana.
Felicità, gioia spontanea, esaltazione sono queste le caratteristiche principali del Flow, il soggetto si sente estremamente bene, un premio senza eguali; l’individuo si indentifica appieno con ciò che sta facendo, il focus è rivolto tutto sull’azione che deve essere intrapresa con estrema serenità.
Alla base del Flow c’è anche uno stato di autodimenticanza, nel senso che i soggetti sono talmente coinvolti nell’attività che stanno svolgendo, da perdere la consapevolezza di se stessi, i piccoli problemi svaniscono, ogni pensiero, tende a scomparire.
Il Flow, contrariamente alla tensione emotiva, rende possibile l’ispirazione, quasi una leggera estasi; quest’ultima deriva dalla concentrazione che è la condizione alla base dello stato di Flow.
Oltre a queste caratteristiche, anche la motivazione per fare una qualsiasi attività è fondamentale ed il suo motore è sempre uno: l’emozione.
Tutte le teorie sulla motivazione partono dalle emozioni e dalla capacità di dominarle in vista del raggiungimento di un obiettivo.
Arrecano danno alla spinta motivazionale una mancanza di autocontrollo sulle emozioni, un elevato livello di ansia, preoccupazioni esterne, cattivo umore o un’eccessiva apprensione rivolta al risultato. Sono invece a favore della spinta motivazionale un rilassamento preventivo (alla base anche di tutte le tecniche di apprendimento e memorizzazione), un adeguato livello di ansia, un’attenzione rivolta al compito e non al risultato, un’elevata inclinazione alla speranza, buon umore e senso di autoefficacia.
A chi non è mai capitato di essere talmente concentrato nella propria attività da non accorgersi del tempo trascorso? Gli studi sono partiti proprio dall’osservazione del comportamento dei grandi campioni sportivi, degli artisti e delle persone dotate di particolare genialità. Ciò che colpisce in queste persone è sempre la straordinaria capacità di automotivarsi e di sopportare durissimi programmi di studio e allenamento. E’ proprio questo massimo livello di concentrazione e automotivazione che Csikszentmihalyi ha definito flusso (Flow). Un punto fondamentale dello stato di “flusso” risulta essere la motivazione intrinseca del soggetto che agisce proprio per il piacere stesso di svolgere l’azione e non per ciò che può ottenere.
Tutto ciò fa riflettere su quanto sia fondamentale incanalare le nostre emozioni verso il piacere di “fare quel che si fa” senza ostinatamente porre come condizione il risultato o la valutazione finale.
Più entriamo nello stato di flusso, più gli obiettivi diventano definiti e raggiungibili e sia internamente che esternamente, abbiamo costanti feedback che ci fanno capire quanto le cose stiano andando davvero bene.
La Psicologia dello Sport ha analizzato il modello del Flow per lo studio della prestazione eccellente (peak performance), vale a dire la prestazione sportiva in cui l’atleta si esprime al di sopra del suo standard abituale. Il Flow predispone la performance e genera la peak performance, visto che assomma le condizioni mentali più favorevoli per la prestazione sportiva ottimale. Più l’atleta riesce a percepire e potenziare le condizioni di Flow, maggiori saranno le probabilità di associarvi la peak performance. Il modello del Flow valorizza il ruolo della soggettività, intesa quale fattore di valutazione delle condizioni dell’ambiente esterno e degli stati psichici interni all’individuo. L’approccio può essere idealmente posto in continuità con i fondamenti teorici ed empirici della Psicologia della Gestalt, in cui venivano messi in luce i concetti sostanziali di “forma” e “organizzazione” della realtà per mezzo dei quali l’individuo percepisce e interpreta il mondo esterno. Nel modello del Flow, ogni individuo reperisce l’esperienza ottimale in alcune attività della propria vita quotidiana, in funzione sia del contesto sociale e culturale in cui si trova a vivere (che fornisce l’ambito delle possibili sfide su cui investire l’attenzione), sia delle proprie caratteristiche e capacità individuali.
Le parole chiave che si possono rintracciare in questa filosofia sono quindi: consapevolezza di se stessi, coinvolgimento ed assorbimento completo nell’attività che si sta svolgendo, armonia tra mente e corpo (che lavorano senza nessuno sforzo), divertimento e felicità.
A questo punto possiamo essere in grado, con quanto detto, di riassumere quelli che sono i punti fondamentali dello stato di Flow.
- L’equilibrio sfida-abilità: (coincidenza tra abilità e opportunità di azione), l’atleta sceglie i parametri che caratterizzano la sfida, determinando di conseguenza quali sono le abilità necessarie.
- La fusione azione-consapevolezza: l’atleta che percepisce di possedere le abilità necessarie alla sfida, è focalizzato totalmente sui compiti ed è assorbito nella sua attività.
- La chiarezza di obiettivi e di intenti: l’atleta sa in maniera chiara dove si trova, cosa sta facendo, dove sta andando, (dirige e focalizza l’attenzione e annulla ogni distrazione).
- Il senso di controllo: è legato nell’atleta nella credenza di possedere le abilità richieste e ha il ruolo di fornire sensazioni di calma, fiducia, confidenza e potere, si riduce la paura di fallire e si creano sensazioni di empowerment.
- La trasformazione del tempo: l’atleta sperimenta un tempo dilatato o ristretto e accorciato.
- L’esperienza auto-telica ovvero la motivazione intrinseca: l’atleta è motivato a realizzare il compito, per il piacere di fare quello che sta facendo, per il semplice e puro divertimento, per l’eccitazione del movimento. Percepisce la sua attività come fine a se stessa e autoremunerativa.
Uno studio condotto in Canada ha stabilito, infatti, che la chiave della felicità si trova nello sport; le persone che praticano attività sportiva sarebbero infatti felici per un periodo di tempo più lungo rispetto a quelle che non fanno nessun tipo di sport.
In quanto, sembrerebbe che l’attività fisica contrasterebbe l’atrofia cerebrale, riducendo in tal senso i cambiamenti che modificherebbero le alterazioni del nostro umore.
Lo studio condotto per ben 15 anni nei quali sono stati analizzati i dati registrati da delle indagini sulla salute della popolazione, hanno appurato che nell’85% circa dei casi essere attivi fisicamente è associato ad altre probabilità di essere felici; viceversa coloro che non svolgevano attività fisica, (il 49%) è risultato infelice due anni dopo, ed il 45% ha ammesso di esserlo due anni dopo.
Infine, i soggetti che sono passati da una vita sedentaria, ad una più attiva, grazie allo sport, avrebbero provato sensazioni di felicità sia a distanza di due che di quattro anni.
Si dice sempre che la felicità è dietro l’angolo, ma facendo attività fisica è a portata di mano.
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