Le fratture da stress
- 29 Ottobre 2018
Questa settimana parliamo di un argomento di cui sicuramente avrete sentito parlare; sono le cosiddette fratture da stress. Queste vengono talvolta indicate come fratture da fatica, delle lesioni parziali e/o complete (anche se quest’ultimo caso è meno frequente), che interessano in particolar modo chi pratica in maniera continuativa un’attività sportiva molto intensa.
Tali fratture infatti sono sempre il punto finale di una sequenza di sovraccarichi anche se a volte possono essere determinate da fattori puramente casuali.
Il livello di gravità delle fratture da stress è dovuto al fatto che i tessuti a metabolismo lento come soprattutto ossa e tendini hanno un processo di riparazione molto più lungo rispetto ai muscoli e spesso e volentieri occorrono mesi e mesi per risolvere il problema.
Come nasce dunque una frattura da stress? In parte lo abbiamo accennato all’inizio ma è bene aggiungere che, secondo la legge di Wolff, la risposta a carichi deformanti causa una sorta di rimodellamento osseo. L’entità dei carichi a loro volta è funzione delle modalità di applicazione quali ad esempio: la frequenza, la natura, la direzione del recupero fra i vari valori, le qualità dell’osso, e dei fattori più importanti quali età e sesso (di questo parleremo più avanti).
La frattura si viene a formare quando si supera la resistenza dell’osso, in verità non sempre questa è legata ad un trauma evidente ma specialmente in campo sportivo, può benissimo associarsi a microtraumi ripetuti col passare del tempo.
Non sempre è evidente purtroppo il limite che sussiste tra le fratture da stress e altre patologie ossee e anche fra gli addetti ai lavori esiste una certa confusione dal punto di vista terminologico; riassumendo si può dire dunque che esistono, oltre le fratture da stress, anche: le periostiti, le tendinopatie inserzionali e le cosiddette stress reaction.
Per quanto concerne le periostiti, esse sono dei processi infiammatori a carico del periostio, la membrana connettivale che avvolge tutte le ossa del nostro corpo lasciando però scoperte sia le superfici delle articolazioni che le zone di inserzione dei tendini. La periostite può vedere coinvolto un solo osso oppure più elementi dello scheletro.
Le tendinopatie inserzionali sono invece delle lesioni infiammatorie che hanno prettamente una base microtraumatica, si verificano nel punto di collegamento fra il tendine ed il tessuto osseo.
Da ultimo, le stress reaction, sono a volte condizioni legate ad una risposta fisiologica dell’osso, la fase iniziale reversibile, con cui ci si incammina verso la frattura da stress.
Sono evidenziate dalla risonanza magnetica ma non presentano rima di frattura anche se è presente dolore da carico più o meno intenso.
A livello amatoriale le stress reaction hanno probabilmente un’importanza ancora maggiore rispetto alle fratture da stress. Il motivo è presto spiegato, nel senso che l’amatore a differenza del professionista, in presenza di un dolore anche non trascurabile e continuo durante l’esercizio, è portato ad interrompere immediatamente l’attività fisica, accelerando dunque il processo di riparazione. Anche quando non opta per il riposo, è costretto (dalle minori motivazioni rispetto al dolore percepito), a ridurre notevolmente il carico; soltanto in pochi continuano in maniera stoica e soprattutto ingenua per esempio a correre imbottendosi di antidolorifici comportandosi come dei professionisti che non possono rinunciare all’appuntamento agonistico e arrivando così ad una frattura da stress.
Se prendiamo ad esempio il caso dei corridori professionisti, nel 60 – 75% dei casi, all’origine dell’infortunio possono esserci errori legati sia all’intensità che al volume dell’allenamento che impediscono un recupero consono. Ad esempio, scarpe sbagliate che ammortizzano lo shock in modo insufficiente ed usate soprattutto in terreni irregolari, contribuiscono maggiormente al far sì che si inneschino delle patologie a carico degli arti inferiori. Tali fenomeni, uniti ad allineamento errato o ad errori biomeccanici, aggravano ancor di più la predisposizione nel contrarre le fratture da stress.
Per i corridori non professionisti e/o che fanno corsa solo di rado, esiste un problema aggiuntivo che non è di poco conto che è dato dal fatto di aver un deficit muscolare degli arti inferiori che conduce ad una riduzione dell’assorbimento delle forze da impatti/urti da parte dei tessuti molli.
Per quanto riguarda le tipologie di fratture da stress o da fatica, se ne possono distinguere essenzialmente 4: obliqua (in assoluto la più frequente), la frattura in comprensione, quella trasversale (di maggiore gravità, specialmente nel caso in cui si verifichi una dislocazione) ed infine la frattura longitudinale (la più rara).
Il classico sintomo di una frattura da stress è logicamente il dolore che inizia spesso in modo leggero e modesto per arrivare in maniera progressiva ad un’intensità tale da impedire il gesto atletico nel giro di 2/3 settimane.
In un primo stadio il dolore compare durante l’attività sportiva e scompare quando si è a riposo mentre nel secondo stadio il dolore continua per ore e ore e spesso si presenta con una certa frequenza anche durante la notte.
Tendenzialmente è localizzato anche se spesso tende ad assumere connotazioni diffusive nonché a subire variazioni in concomitanza con gli stadi evolutivi delle frattura.
La diagnosi comunque non è facile, non tanto per una valutazione differenziale con un insieme di patologie ben delineate (in quanto occorre tenere presente anche rare sindromi compartimentali), quanto perché gli strumenti di indagine clinica danno delle risposte certe solo dopo un lasso di tempo non trascurabile (a volte anche parecchi mesi) e gli esami vanno svolti con molta cura e secondo tecniche d’indagine ben precise e specifiche. La radiografia classica ad esempio è il primo esame che si usa, se dà esito positivo, conferma la presenza della frattura da stress.
Bisogna dire però che i casi di positività dell’infortunio, soprattutto nelle primissime fasi, non sono molti, quindi questo è un esame poco sensibile (molte fratture possono risultare negative), ma specifico (se c’è positività si è in presenza di una frattura).
La strada successiva in caso di radiografia negativa, ma persistenza del dolore, può essere la risonanza magnetica o l’accoppiata scintigrafia – TC (ovvero la tomografia computerizzata).
La scintigrafia ossea è una tecnica molto sensibile ma poco specifica e richiede la TC (eseguita nelle aree ipercaptanti dolorose evidenziate dalla scintigrafia) per rilevare la rima di frattura e quindi la diagnosi di frattura da stress. Questa strada richiede spesso due esami e comunque necessita anch’essa di un tempo abbastanza lungo dall’inizio della sintomatologia e la diagnosi (sempre qualche mese).
L’esame cardine per la frattura da stress è la risonanza magnetica eventualmente ripetuta dopo 2-4 settimane se risultasse negativa con dolore (anche se il caso è abbastanza raro).
I fattori di rischio e le cause che sono all’origine delle fratture da stress sono infiniti ed alcuni perfino sovrastimati quali ad esempio:
- Il fatto che non sembra esistere una chiara relazione tra difetti anatomici e fratture da stress, come a dire che piede cavo o piatto vengono spesso compensati sufficientemente;
- Il peso non rappresenta un fattore di rischio molto probabilmente perché la grande massa corporea produce un aumento del trofismo osseo;
- Il tipo di scarpa (più o meno protettiva) non riduce l’incidenza delle fratture (così come l’uso di plantari); ciò è logico perché chi si abitua a correre con scarpe leggere e poco protettive induce dei meccanismi di difesa. Ha invece importanza l’usura della scarpa, anche ciò quadra con la necessità di variazione di qualche parametro nel quadro dell’atleta perché si verifichi la frattura;
- Per quanto riguarda il terreno d’allenamento, in particolare, non è affatto dimostrata la correlazione fra terreni duri e fratture da stress.
Adesso però ci concentriamo sui fattori di rischio che, diciamo così, sono più sicuri e sono in sostanza 3: il primo è rappresentato dalla variazione qualitativa durante l’allenamento di lavori veloci, balzi, ecc o quantitativa del carico allenante. Il motivo è un’eccessiva fatica muscolare che provoca sull’osso un incremento delle forze di impatto e dunque un muscolo si trova a dover affrontare una nuova situazione e non è in grado di garantire l’ammortizzazione necessaria.
Il secondo è rappresentato invece dal sesso: le donne con oligomenorrea (anche se non è ancora del tutto chiara l’associazione tra turbe mestruali – osteoporosi) presentano un rischio di 6 volte superiore rispetto agli uomini e quelle che seguono un regime alimentare per minimizzare il peso sono a rischio di circa 8 volte rispetto al sesso maschile.
L’unico vantaggio se così si può dire, che le donne hanno rispetto agli uomini, è che le fratture da stress, in genere, guariscono in un tempo che è circa la metà.
Terzo ed ultimo fattore di rischio è dato dall’età; infatti più si è in là con gli anni e più aumenta la probabilità di contrarre una frattura da stress.
Uno studio di Matheson a tal proposito ha evidenziato che gli atleti più vecchi presentano delle fratture soprattutto nelle ossa tarsali e nel femore mentre invece nei più giovani ad essere maggiormente interessata è la tibia.
Quando siamo vittime di una frattura le nostre ossa reagiscono al trauma sintetizzando nuove cellule, ricevono più sangue e si riparano lentamente. Per mezzo di tale processo la maggioranza delle fratture guarisce nell’arco di 6 settimane con l’utilizzo delle stampelle onde evitare di caricare eccessivamente l’osso fratturato.
Un’altra soluzione è quella del riposo ma “attivo” perché è associato ad esercizi muscolari sia con carico che non allo scopo di inibire il decadimento del tono muscolare.
Periodicamente è necessario effettuare controlli radiografici per verificare il consolidamento osseo. Se questo non si verifica, va preso in considerazione l’intervento chirurgico con ricorso a viti o placche, come nel caso delle tipiche fratture da trauma. Tuttavia alcune ossa (quali femore e tibia) sono scarsamente vascolarizzare e hanno bisogno di tempi di recupero più ampi.
Il trattamento di una frattura da stress dipende ovviamente dalla sede interessata e dal livello di gravità. Tendenzialmente si ricorre alla chirurgia, nel caso di pericolo di spostamento, come ad esempio per il collo del femore o del riposo con biostimolazione e ultrasuoni all’applicazione di un apparecchio gessato, all’intervento chirurgico, che deve essere valutato con una certa attenzione perché tende ad indurre atrofia muscolare e rigidità articolare.
Quest’ultima soluzione però non è così comune come differentemente si potrebbe pensare parlando di fratture ed in genere coinvolge sedi particolari come la rotula o il V metatarso.
Per facilitare questo processo di guarigione, oltre all’immobilizzazione e ad eventuali interventi chirurgici, è molto importante seguire una dieta appropriata.
Il tempo di guarigione da una frattura è influenzato dalla disponibilità di tutti quei nutrienti necessari per riparare l’osso lesionato. Specialmente nel sesso femminile, una dieta povera di carne, comporta nelle atlete sia i disturbi mestruali sia un deficit di ferro, di zinco e di proteine in generale, fattori (insieme ad allenamenti in condizione di deplezione di glicogeno per scarsità di carboidrati nella dieta) che favoriscono appunto le fratture da stress.
Per questo è importante seguire un’alimentazione corretta che prevede al suo interno il consumo di alimenti (di origine animale), come carni, frattaglie, pesce, uova, latte, formaggi, burro e, sotto forma di precursori, (carotenoidi) in frutta e verdure di colore giallo e rosso, ricchi di vitamina A, molto importante poiché svolge un ruolo decisivo nella sintesi proteica e nella formazione di ossa e scheletro ed inoltre è un potente antiossidante naturale.
Anche le vitamine C e D sono da includere nella nostra dieta quotidiana in quanto la prima, è fondamentale per la sintesi del collagene, una proteina fibrosa necessaria per la riparazione delle fratture (il collagene forma il tessuto connettivo necessario per la costituzione non solo di ossa ma anche di tendini, denti, legamenti e cartilagini). Questa vitamina è contenuta prettamente nella frutta come (agrumi, kiwi, fragole) e nelle verdure (broccoli, pomodori e peperoni).
Per quanto concerne invece la vitamina D, essa rende più facile l’assorbimento intestinale del calcio; viene prodotta dalla cute grazie all’azione dei raggi solari. Per incrementare i livelli di questa vitamina, bisogna consumare le giuste quantità di uova, salmone, burro e latte.
Insieme alla vitamina D, il calcio è un altro elemento di notevole importanza per la salute delle nostre ossa e dunque per la prevenzione dell’osteoporosi, è contenuto in prevalenza nei latticini (da prediligere quelli a basso contenuto lipidico), come latte, yogurt sia parzialmente che scremati, ricotta, mozzarella, crescenza, robiola e fiocchi di latte.
Ancora, la vitamina K, interviene nella sintesi di alcune proteine utili per il metabolismo osseo; la sua carenza tuttavia è molto rara, sia perché è distribuita ampiamente negli alimenti ma anche in quanto il nostro organismo è capace di regolarne bene la sua sintesi e l’eliminazione.
Per facilitare invece la riparazione ossea in seguito ad una frattura è fondamentale adottare una dieta alimentare ricca di frutta e verdura eccezion fatta per tutti quegli alimenti che contengono ossalati come: barbabietole rosse, spinaci, prezzemolo ma anche cacao, arachidi e the.
Insieme all’acido folico, al rame e al ferro, la vitamina B12 incrementa la produzione di globuli rossi nel midollo osseo ed è quindi di straordinaria importanza nelle prime fasi di ripresa a seguito di un intervento chirurgico per ridurre la frattura da stress.
Anche lo zinco contenuto nelle uova, nell’insalata, nei fagioli, nei piselli, nei molluschi, nel lievito di birra, nell’avena e nell’orzo, deve essere consumato in grandi quantità perché è importante nella guarigione dalle ferite e riduce quindi i tempi di cicatrizzazione.
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