DIRE – Debiti e plusvalenze, i club senza regole che drogano il calcio
- 30 Ottobre 2021
Inter, Milan e Juve sono i tre club che avevano aderito alla buonanima della Superlega. Nei conti c’è scritto il perché. Il torneo separatista avrebbe garantito alle partecipanti un bonus iniziale tra i 200 e i 300 milioni di euro. In pratica liquidità tappa-bilanci. Di quell’avventura è rimasta la cicatrice dei debiti. L’Inter, mentre quasi non riusciva a pagare gli stipendi, festeggiava lo scudetto. La “strategia” di cui sopra, appunto. Ha ragione dunque il presidente della Fiorentina, Commisso – trattato sempre come una caricatura italoamericana così naif da combattere contro i mulini a vento – quando dice che ci sono squadre costrette a rientrare nell’indice di liquidità e altre no? L’ex presidente della Procura Federale, Giuseppe Pecoraro, ha usato in passato un altro tono: ci sono club che “stanno drogando il calcio italiano”. Nel frattempo il fantasma delle plusvalenze volteggia inesausto sulla Serie A, per tradizione ciclica: ogni tanto spunta titillando l’indignazione generale prima di tornare dormiente a gonfiare le malsane economie del pallone. La Covisoc indaga su 62 operazioni “sospette”, di cui 42 riguardano la sola Juventus. La Procura della Federcalcio, informata, ha aperto un fascicolo, ed è di solito così che finisce: un fascicolo ci seppellirà. Nel suo politichese basculante l’ha ammesso, simulando sconforto, il presidente federale Gravina: “Noi siamo coscienti nella nostra impossibilità di agire su questo terreno che è abbastanza scivoloso”, ha detto. Tanto “si cozzerà sulla solita questione delle valutazioni soggettive o oggettive”. Una pioggia di gocce a riempire un vaso che non trabocca mai.
“Il quadro è impietoso- scrive Calcio e Finanza- solo nella stagione 2002/21 Inter, Juventus, Milan e Roma hanno collezionato un rosso complessivo di 736,6 milioni di euro”. Se il Milan ha invertito la rotta con una gestione più accorta ed etica, la Juve rimbalza sul campo da gioco a colpi di aumenti di capitale, da 300 e poi 400 milioni, e ha appena sottoscritto un fabbisogno da 150 milioni per passare la nottata 2022. Il caso dell’Inter però è sintomatico del disastro: la sua proprietà ha disperato bisogno di liquidità ed è costretta ad andare avanti in Europa per garantirsi introiti. Gioca con una specie di cappio alla gola invisibile. L’alternativa sono le cessioni. Del maxi prestito di 275 milioni concesso a maggio dal fondo statunitense Oaktree, solo 80 sono entrati nella disponibilità dell’Inter. Il resto è rimasto alla famiglia Zhang, impelagata nella crisi sistemica dell’imprenditoria cinese. Tanto “è tutta colpa della pandemia”. Il grande alibi senza scadenza, che ancora gioca sulla percezione emotiva del turbamento generalizzato. Non peraltro la Serie A si contrabbanda come parte politicamente offesa: sedicente “industria” cui manco un ristoro è stato riconosciuto. La querelle economica ha una sua deriva sportiva: l’extraterritorialità finanziaria concessa a squadre che competono ad armi impari. Quella correlazione posticcia tra buchi da centinaia di milioni e il trionfalismo di vittorie “memorabili”, che ancora viene celebrata come un’eventualità ammissibile. Tanto prima o poi “si cozza sulla solita questione delle valutazioni soggettive o oggettive”, per dirla con Gravina.