

Roma – Graziano Mesina non è morto da bandito in fuga né da uomo libero, ma in una corsia d’ospedale. Era stato scarcerato appena ventiquattr’ore prima, per motivi di salute. Aveva 83 anni, li aveva compiuti da pochi giorni. Si è spento nel reparto di alta sicurezza del San Paolo di Milano, dove era stato trasferito dal carcere di Opera. Una fine quasi anonima, per un uomo che aveva fatto della sua vita un romanzo nero. A chiedere il differimento della pena erano state per mesi, invano, le sue legali Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier. Solo l’ultima delle sette istanze è stata accolta dal tribunale di sorveglianza milanese. “Un accanimento ingiustificabile – ha detto Goddi – si poteva concedere la scarcerazione già settimane fa. Stavamo organizzando il rientro in Sardegna, ma è finita così”.
Mesina era tornato in carcere nel 2021, dopo una latitanza durata un anno e mezzo. Era stato condannato a 30 anni per traffico internazionale di droga, pena poi ridotta a 24. La sua cattura, a Desulo, era stata presentata come un trofeo: il Ros dei carabinieri lo aveva localizzato in una villetta, ai piedi del Supramonte, e riportato dietro le sbarre. L’ultima tappa di una vita passata tra fughe e arresti, grazie e tradimenti, tra evasioni rocambolesche e rapporti sotterranei con i servizi segreti. Una biografia da film, quella di ‘Grazianeddu’, la primula rossa del banditismo sardo, che aveva saputo trasformare il personaggio in leggenda popolare.
Nato a Orgosolo nel 1942, Mesina divenne famoso per le sue clamorose evasioni: 22 tentativi, 10 riusciti. Ma non era solo un fuggiasco. I sequestri di persona – pratica diffusa nella Sardegna degli anni bui – lo videro protagonista o vicino a chi lo era, spesso sotto il marchio dell’’anonima sequestri’. E quando nel 1992 il piccolo Farouk Kassam fu rapito in Costa Smeralda, fu proprio Mesina, all’epoca in permesso carcerario, a essere incaricato di mediare per la liberazione. Lo fece davvero.
Nel 2004 ottenne la grazia dal presidente Ciampi. Ne fece cattivo uso. Tornò in affari con i narcos, fu arrestato nel 2013, condannato, latitante di nuovo. Fino alla fine: arrestato, trasferito a Opera, e infine al San Paolo. Dove si è spento da solo. Fino all’ultimo ha provato a restare al centro della scena. Negli anni si era raccontato come una leggenda vivente, tra turisti che lo cercavano nei vicoli di Orgosolo e giornalisti in cerca di simboli. Su banditeddu, “uomo d’onore”, diceva qualcuno. Un personaggio larger than life, direbbero altrove. Ma alla fine anche i miti invecchiano. Il destino ha voluto che Mesina lasciasse il carcere solo per morire. Uscito da detenuto, ma senza più dover tornare. “Una liberazione tardiva, quasi beffarda” dicono oggi le sue avvocate. Avevano già pronto il viaggio verso la Sardegna. Lo attendevano i suoi familiari. Ma è finita prima.