Roma – Ora tocca a Giorgia Meloni. Mi candido o no? Mancano cinque mesi alle elezioni europee e i leader dei partiti sono alle prese col quesito amletico. “Io non mi candido”, annuncia Matteo Salvini. Spalleggiando, di fatto, Antonio Tajani. “O tutti o nessuno”, dice il segretario di Forza Italia che eviterebbe volentieri di mettere il suo nome sulla scheda elettorale, visto che in cuor suo accarezza l’idea di ottenere un posto da commissario europeo nel prossimo esecutivo europeo. Il centrodestra attende la decisione di Giorgia Meloni. Dentro FdI in tanti danno per scontata la corsa della leader, ma lei continua a prendere a tempo.
Pochi giorni fa, ai giornalisti che le chiedevano se avesse intenzione di candidarsi, la premier rispondeva: “Lo decideremo insieme nel centrodestra e devo prima assicurarmi che non tolga troppo tempo al mio lavoro da presidente del Consiglio”. La voglia, va detto, non le manca. I comizi e le piazze sono il suo piatto forte: “Il misurarsi con il consenso sarebbe una cosa utile e interessante”, diceva, e potrebbe persino diventare “un test di altissimo livello” se altri leader di opposizione decidessero di sfidarla.
Salvini sa che il risultato di cinque anni fa, quando la Lega prese il 34%, è irraggiungibile. Per questo si è sfilato dalla corsa alle preferenze. Tajani non vorrebbe misurarsi personalmente, in attesa di fare un passo avanti quando si parlerà di formare la nuova commissione. Per un posto da commissario sarebbe pronto a lasciare il suo posto da vicepremier: un altro piccolo passo verso il Quirinale, un’idea di futuro mai abbandonata.
Meloni osserva e ragiona. Candidarsi e fare incetta di preferenze rafforzerebbe ovviamente il suo peso nel governo, ma una batosta troppo forte rischia di innervosire assai gli alleati. Dopo il voto europeo ci sarà da lavorare per la nuova commissione e la premier vuole giocare da protagonista. Nei palazzi c’è chi racconta di Lollobrigida e Fitto in pole per un posto da commissario. Epperò non bisogna dimenticare che sul tavolo c’è anche il dossier regionali, dove Fratelli d’Italia sta già alzando la voce. Delle cinque regioni al voto, il partito di via della Scrofa ne governa solo una: troppo poco per il partito leader del centrodestra. Dopo la candidatura di Paolo Truzzu in Sardegna, fatta ingoiare a Lega e Forza Italia, si riapriranno i discorsi per Basilicata, Abruzzo, Piemonte e Umbria. Il rischio è che l’appetito di FdI diventi ingordigia, esasperando i rapporti con gli alleati. Ecco perché le ultime mosse di Salvini e Tajani convergono: il primo si è sfilato, il secondo invita “tutti i leader” del centrodestra a farlo. Evitare il trionfo di Meloni nelle urne è nell’interesse di entrambi. Nemmeno tra le minoranze c’è la corsa alla candidatura. Anzi. Carlo Calenda prova a chiedere un time out: “Io ho proposto che nessuno si deve candidare dei leader, perché in Europa bisogna andarci. Io non potrei andarci, Meloni men che meno. Io vorrei non candidarmi e vorrei che ci fosse un accordo tra i leader per non farlo. Io proverò a non farlo anche se gli altri si candidassero”. Matteo Renzi non è d’accordo: “Io sarò della partita, sarà una sfida bellissima”. Giuseppe Conte non si candiderà, fedele al principio che vuole i Cinquestelle correre per ruoli che poi effettivamente ricopreranno. Elly Schlein è ancora in mezzo a un guado. Stefano Bonaccini preme perché non si candidi in tutte le circoscrizioni (“Il Pd non è il partito di un solo uomo, o una sola donna, al comando”), la segretaria medita.