Roma – L’azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina di Trieste ha nuovamente detto ‘no’, oggi, alla richiesta di suicidio assistito arrivata da Martina Oppelli. A darne notizia è l’associazione Luca Coscioni, che riporta le parole della donna, 49 anni, affetta da sclerosi multipla secondaria progressiva dalla fine degli anni Novanta, che si era rivolta alla struttura sanitaria (per l’ennesima volta, la prima richiesta partì l’1 agosto 2023) il 13 agosto scorso: “L’Asugi, nella relazione medica contenente il diniego in merito alla mia richiesta di aiuto alla morte volontaria, tra l’altro pervenuta il 13 agosto, quando io cerco di sopperire al caldo asfissiante, nega l’evidenza: che io sia in una situazione di totale dipendenza vitale da persone, farmaci e macchinari. Rimango perplessa per come viene descritta la mia condizione fisica e clinica nota da anni agli stessi medici. Basita, poiché la sclerosi multipla mi ha privata di qualsiasi movimento lasciando intatta solo la capacità di pensare, parlare e di autodeterminarmi”. Tra l’altro, di recente, il Tribunale di Trieste si era pronunciato imponendo una nuova valutazione medica.
“UN INSULTO ALLA SOFFERENZA DELLA RAGAZZA”
Secondo la segretaria dell’Associazione Coscioni, Filomena Gallo, “questa relazione è un insulto alla sofferenza di Oppelli che viene condannata dall’azienda sanitaria a un trattamento inumano e degradante per la sua dignità”. “Addirittura, nella relazione si solleva il dubbio che la macchina della tosse, più che una necessità terapeutica, abbia uno scopo ‘preventivo’, quasi come se la prevenzione del soffocamento fosse un vezzo”, osserva Gallo, anche in veste di avvocata di Oppelli. “L’azienda sanitaria fonda tutta la sua relazione sul parere del Comitato nazionale per la bioetica, che non ha alcuna portata normativa- sottolinea ancora Gallo-, essendo questo un organo consultivo del governo. È invece sminuita e disattesa in toto la sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024, che è intervenuta per chiarire la portata estensiva del requisito di trattamento di sostegno vitale”.
“Nelle ultime settimane diverse aziende sanitarie hanno preso atto dell’intervento di questa sentenza, modificando le loro conclusioni proprio in relazione a persone malate in condizioni simili a quelle di Oppelli”, evidenzia Gallo. La sentenza della Consulta, spiegano dall’Associazione, chiarisce che sono considerate trattamenti di sostegno vitale tutte quelle “procedure che sono normalmente compiute da personale sanitario, e la cui esecuzione richiede certo particolari competenze oggetto di specifica formazione professionale, ma che potrebbero essere apprese da familiari o ‘caregivers’ che si facciano carico dell’assistenza del paziente”. Da questo punto di vista, conclude Gallo, “sono proprio infermieri o assistenti privati che quotidianamente la assistono sia nelle funzioni vitali sia nella somministrazione di terapie, si occupano di imboccarla, farla bere e di tutti i trattamenti in assenza dei quali Oppelli morirebbe nel giro di poco tempo di stenti fra atroci sofferenze“.
“Il rinnovato diniego dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina alla lucida richiesta di Martina Oppelli sconcerta a addolora, configurando una sorta di accanimento burocratico nei confronti di una persona cui è tolta la possibilità di autodeterminarsi”, dichiara la deputata Debora Serracchiani, della segreteria nazionale del Pd. E prosegue: “È sempre più urgente che il tema di una fine dignitosa della vita diventi sia dibattuto e spero risolto nelle aule del Parlamento, perché la ‘condanna a vivere’ può essere la più crudele di tutte e noi legislatori non possiamo restare insensibili. Martina Oppelli sta parlando con le sue ultime forze a nome di tanti che non possono farlo e che si trovano in condizioni drammatiche. Le proposte di legge ci sono, mettiamoci al lavoro come chiesto dalla Consulta e rendiamo più civile e umano il nostro Paese”.