

Roma – Dopo un weekend di riflessione, ecco il lunedì nero delle Borse. Il nero è ormai il colore dei mercati, dopo l’annuncio dei dazi universali di Trump della scorsa settimana. In apertura Tokyo ha perso oltre l’8%, Seul il 5%, mentre Hong Kong e Taipei affondano attorno al 10%. L’effetto domino si propaga in fretta, innescando timori sempre più concreti di una recessione globale autoindotta. L’indice paneuropeo Stoxx 600, che monitora le seicento maggiori aziende europee, è crollato di oltre il 6% questa mattina, raggiungendo il livello più basso dall’inizio di dicembre 2023. A Londra, l’indice FTSE 100 dei titoli blue chip è crollato di 488 punti, ovvero del 6%, portandosi a 7566 punti, il livello più basso da febbraio 2024. Bloomberg ha calcolato che circa 9,5 trilioni di dollari sono andati in fumo da quando il presidente degli Stati Uniti ha annunciato nuove imposte commerciali su amici, nemici e pinguini che vivono sulle isole vulcaniche sterili e disabitate vicino all’Antartide.
E Trump è tornato a parlare, su Truth Social, ovviamente rilanciando ancora: “I prezzi del petrolio sono in calo, i tassi di interesse sono in calo (la lenta Fed dovrebbe tagliare i tassi!), i prezzi dei prodotti alimentari sono in calo, non c’è inflazione e gli USA, da tempo abusati, stanno incassando miliardi di dollari a settimana dai paesi che abusano delle tariffe già in vigore. Questo nonostante il fatto che il più grande aguzzino di tutti, la Cina, i cui mercati stanno crollando, abbia appena aumentato le sue tariffe del 34%, in aggiunta alle sue tariffe ridicolmente alte a lungo termine (in più!), senza riconoscere il mio avvertimento ai paesi abusatori di non reagire. Hanno guadagnato abbastanza, per decenni, approfittando dei buoni vecchi USA!”
Nel fine settimana, analisti e osservatori avevano lanciato l’allarme: l’Asia è il ventre molle del conflitto tariffario tra Stati Uniti e Cina. Il motivo è semplice – le economie della regione, dal Giappone alla Corea del Sud, dipendono dai giganti. E infatti alla riapertura delle contrattazioni, è stata svendita generale immediata. Il settore tech è stato il più colpito: Taiwan Semiconductor, primo produttore mondiale di chip, ha perso quasi il 10%. Male anche Foxconn, fornitore chiave di Apple. In picchiata Alibaba, Tencent, Xiaomi. Samsung ha ceduto il 4%, Nintendo ha oscillato tra il -5% e un picco di -10% all’apertura.
I futures sull’S&P 500, termometro anticipatore di Wall Street, hanno segnato -4% già domenica notte. In discesa anche le materie prime: petrolio giù del 3%, rame -5%, altro segnale che il rallentamento potrebbe farsi strutturale. L’S&P 500 è a -17,4% dai massimi di febbraio, a un passo dal mercato ribassista. Il Nasdaq, gonfio di titoli tech, è già in bear market (-23% dal picco di dicembre). Peggio fa il Russell 2000, che traccia le piccole imprese: -25% da novembre. Persino l’industria bellica ne sta pagando le conseguenze.
Stavolta però non c’è la pandemia, un virus, né un collasso bancario a scatenare la crisi. C’è la politica economica della Casa Bianca. Preston Caldwell, economista di Morningstar, parla apertamente di “catastrofe autoinflitta”. I segnali arrivano anche dal fronte delle imprese: aumento dei prezzi annunciato per cibo, abbigliamento e beni di largo consumo. Le aziende automobilistiche iniziano a tagliare la produzione e i posti di lavoro. I consumatori frenano, e le banche alzano le probabilità di recessione nei prossimi 12 mesi.
Nel frattempo, le chiamate alla de-escalation si moltiplicano. L’hedge fund manager Bill Ackman ha chiesto a Trump un “time out” di 90 giorni, evocando un “inverno nucleare economico”. Dal Regno Unito, il premier Keir Starmer ha dichiarato: “Il mondo come lo conoscevamo è finito. Evitiamo una guerra commerciale su vasta scala”. E Trump sorride: “I Paesi colpiti fanno la fila per parlare con noi”.