Bologna – Restare vedovi o vedove in anzianità aumenta il rischio di mortalità. Soprattutto tra gli uomini. È la conclusione a cui è giunto uno studio, il primo nel suo genere, realizzata sulla base dei dati Inps dagli statistici dell’Alma Mater di Bologna, nell’ambito del progetto ‘Age-It’ finanziato con risorse Pnrr. In buona sostanza, si è visto che per i pensionati italiani maschi che subiscono la perdita del coniuge il rischio di mortalità è del 35% maggiore rispetto ai loro coetanei sposati, mentre per le donne l’incremento è del 24%. Ma questi effetti negativi variano anche a seconda della regione di residenza e dello status socio-economico. In alcune regioni del nord Italia, ad esempio, come Valle d’Aosta e Veneto, questo rischio di mortalità è più marcato, mentre è meno accentuata in altre aree del Paese come Molise e Sardegna. Rispetto al quadro socio-economico, invece, i pensionati maschi con redditi medio-alti sono più vulnerabili nel breve periodo, con un rischio maggiore di mortalità immediata dopo la perdita del coniuge. Le donne con redditi più bassi dimostrano invece una maggiore resilienza iniziale, che tende però a svanire nel lungo periodo, con un successivo peggioramento delle condizioni di salute.
“I risultati che abbiamo ottenuto evidenziano la complessità delle conseguenze del lutto coniugale, che non solo agisce come uno choc emotivo e psicologico– spiega Chiara Ludovica Comolli, docente del Dipartimento di Scienze statistiche ‘Paolo Fortunati’ dell’Università di Bologna- ma può anche interagire con disuguaglianze economiche e sociali pre-esistenti. In un contesto come quello italiano, caratterizzato da un rapido invecchiamento della popolazione e da un numero crescente di famiglie composte da anziani soli, questa ricerca offre spunti concreti per interventi mirati di supporto psicologico, sociale ed economico”. Nel 2023 sono state quasi 4,4 milioni le persone rimaste vedove in Italia.
I ricercatori dell’Alma Mater sottolineano come sia un “evento traumatizzante, che può avere forti conseguenze negative sulla salute e che diventa sempre più pericoloso con il progressivo invecchiamento della popolazione”. Lo studio evidenzia in particolare che “i primi mesi dopo la morte del coniuge sono quelli più critici, con un sensibile aumento del rischio di mortalità“. Le differenze tra i vari soggetti, continua poi Comolli, “suggeriscono che fattori socio-economici e istituzionali regionali influenzano in modo rilevante la capacità di far fronte a un evento critico come il lutto. La mappatura dettagliata che abbiamo realizzato permette di individuare le aree geografiche e i gruppi sociali più colpiti, fornendo alle istituzioni strumenti preziosi per implementare politiche di supporto psicologico, sociale ed economico”.