DIRE – Parliamo di disforia di genere, i consigli del pediatra per capire cosa fare
- 23 Dicembre 2024
Roma – “Quello legato all’utilizzo della triptorelina è un problema di grande attualità anche dal punto di vista bioetico, perché i risvolti che possono scaturire da una terapia o una non terapia con triptorelina sono sicuramente oggetto di grande discussione. È però importante ricordare che questo farmaco deve essere assunto nelle fasi iniziali della pubertà, che di solito avviene tra gli 8 e i 10 anni. Se si ritarda troppo, l’effetto del farmaco si riduce di molto, perché c’è una avanzata trasformazione dei genitali. La variazione di sesso si può decidere anche a 20 o 30 anni, ma gli interventi necessari sono molto più complessi”. Lo spiega all’agenzia Dire il vicepresidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps) e componente del Consiglio del Direttivo della Società Italiana di Pediatria (Sip), Gianni Bona, endocrinologo pediatra, commentando quanto dichiarato dal Comitato nazionale per la Bioetica che ha parlato di ‘incertezza sul rapporto rischi/benefici del blocco della pubertà con triptorelina e auspica che le prescrizioni avvengano solo nell’ambito delle sperimentazioni promosse dal ministero della Salute’.
“L’oggetto del problema è essenzialmente la disforia di genere– prosegue- ovvero quella condizione in cui un ragazzo o una ragazza non riconoscono il proprio genere come quello che vorrebbero avere. Se, ad esempio, una bambina nasce con una caratteristica sessuale femminile ma non la riconosce, e viceversa se questo accade per il maschio, entrambi si trovano in una condizione in cui non riescono a veder trasformato il proprio corpo, in periodo adolescenziale, in un corpo adulto di un genere che non è quello che vorrebbero avere”.
“Per fare questo- prosegue l’endocrinologo- si è pensato di bloccare lo sviluppo della pubertà durante il periodo dell’adolescenza, quando sta progredendo, per consentire al bambino o alla bambina di raggiungere i 18 anni e poter prendere autonomamente una decisione sul proprio sesso. In questo caso, se il bambino o la bambina hanno avuto questa terapia, possono sospenderla e, se confermano il desiderio di cambiamento di genere, procedere col percorso chirurgico per attuarlo”.
“Nel nostro centro di endocrinologia pediatrica la utilizziamo da oltre 30 anni- evidenzia l’esperto- nelle bambine soprattutto e nei bambini, che hanno una pubertà precoce. La pubertà è normale se comincia a partire dagli 8 anni nelle femmine e 9 anni nei maschi, mentre queste bambine e bambini, per motivi diversi, non sempre riconosciuti, hanno uno sviluppo puberale che inizia prima dei 7 e 8 anni, rispettivamente nelle femmine e nei maschi, talvolta anche a quattro, cinque anni e che poi procede. Per bloccare la pubertà si fa ricorso a questi farmaci. Nel caso della disforia di genere, invece, si intende bloccare lo sviluppo puberale fisiologico con questo farmaco e poi sospenderlo intorno ai 18 anni“.
“Il rischio- ammonisce Gianni Bona- è che, come tutti i farmaci, anche la triptorelina può avere qualche effetto collaterale. Coloro che si dichiarano favorevoli all’uso della triptorelina sostengono che non succede nulla, che il farmaco può essere sospeso, la pubertà riparte e tutto si mette in ordine. Quelli che sono invece preoccupati dichiarano che questo farmaco può provocare alcuni danni, ad esempio, sul corretto sviluppo corporeo e sulla mineralizzazione dell’osso, aspetti metabolici che possono essere alterati da questa terapia protratta per molti anni“.
“Chi è contrario e ritiene che ci siano rischi a seguito dell’uso di questo farmaco in soggetti con uno sviluppo normale- dice ancora Gianni Bona- sostiene che la terapia che va fatta in presenza di una disforia di genere sia quella psicologica e prevede interventi di psicoterapia fatti da esperti che possano essere in grado di orientare in maniera corretta e consapevole la scelta del bambino o della bambina, del ragazzo o della ragazza“.
“Tutto questo– continua- porta a dire che la scelta più ragionevole sia quella di integrare le due terapie e quindi iniziare precocemente, verso i 10-11 anni, quando cominciano i primi segni dello sviluppo, ma anche prima se ci sono segni di non accettazione del proprio genere, con una terapia psicologica, eseguita da esperti della materia che potranno aiutare questi soggetti a fare una scelta consapevole. Se questa scelta fatta dopo una adeguata psicoterapia conferma la decisione di fare un blocco dello sviluppo puberale, in questi casi si può autorizzare, perché diventa una insostenibile condizione per questi ragazzi, che non accettano il loro corpo per come cambia e, a volte, sono a rischio anche di suicidio, se non si va nella direzione che loro, invece, vorrebbero”.
L’IMPORTANZA DEL COINVOLGIMENTO DELLE FAMIGLIE
Il vicepresidente della Sipps e componente del Consiglio del Direttivo della Sip sottolinea inoltre che “le famiglie devono essere profondamente coinvolte in questa che è una questione estremamente complessa: la psicoterapia deve essere fatta anche ai genitori, è una presa in carico di tutta la famiglia, perché quando i ragazzi arrivano ai 18 anni la loro scelta non è più discutibile, nessuno può opporsi”.
Gianni Bona tiene però a ricordare che “in Italia si tratta comunque di un evento piuttosto raro. Il problema si è presentato soprattutto in Olanda, Svezia, Finlandia e Norvegia, Paesi più attenti ai problemi della sessualità e dove si registra circa il 2% di condizioni di questo tipo. Da noi, invece, non è così frequente e, in assenza di dati ufficiali, si stima la presenza di disforia di genere in uno-due casi ogni diecimila soggetti. Tuttavia questi problemi esistono e hanno un risvolto psichiatrico importante e negare quello che è un diritto di scelta del proprio genere può essere una violenza che si fa ai questi bambini”.
“In tutti i casi- tiene a precisare- i genitori devono sempre fare riferimento ai centri specialistici di endocrinologia pediatrica che hanno esperienza consolidata del problema“.
“Quanto abbiamo detto- conclude Gianni Bona- è perfettamente in linea con ciò che afferma il Comitato Nazionale di Bioetica, che raccomanda ‘che le valutazioni cliniche siano multidisciplinari e la prescrizione della triptorelina avvenga esclusivamente a seguito della constatata inefficacia di un percorso psicoterapeiutico/psicologico ed eventualmente psichiatrico‘”.