Roma – Tre mesi fa la Russia, intorno alle cinque del mattino, lanciava un’offensiva militare nel Donbass “a sostegno” delle auto-proclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk – che Mosca aveva riconosciuto qualche ora prima – e per “denazificare” l’area, stando a quanto dichiarò il presidente Vladimir Putin.
Dopo 90 giorni dall’inizio dei combattimenti, che si sono estesi al resto del Paese raggiungendo anche le regioni più prossime ai confini coi Paesi europei, ora il conflitto si concentra nella regione di Lugansk e in particolare a Sievierodonetsk, nel Donbass, dove le armate russe hanno intensificato l’offensiva. Si tratta della più grande città dell’area, strategicamente importante poiché prossima al fiume Donets che, una volta preso, permetterebbe alla Russia di isolare quest’area dal resto dell’Ucraina.
In questa città da oltre 100mila abitanti le forze russe stanno bombardando da giorni. Sul suo canale Telegram, il governatore della regione Serhiy Gaidai ha fatto sapere che nell’attacco a un edificio quattro persone sono morte, e che i russi avrebbero distrutto anche vari palazzi e strade anche a Rubizhne, pochi chilometri più a nord, e a Lysychansk, sull’altra sponda del Donets. Informazioni che però – in assenza di cronisti sul terreno, come evidenziano i media internazionali – non è possibile verificare e arricchire. Il governatore di Lugansk ha infine accusato l’esercito di Mosca di fare “terra bruciata” a Sievierodonetsk: “Ogni giorno cercano di rompere la linea di difesa. Stanno sistematicamente distruggendo la città”.
Più in generale i costi umanitari della guerra per il resto del Paese sono enormi: stando al Procuratore generale ucraino, dall’inizio del conflitto 234 bambini hanno perso la vita e 433 sono rimasti feriti. L’Agenzia Onu per i rifugiati avverte che quasi 6 milioni e mezzo di ucraini hanno già lasciato il Paese, mentre secondo le ultime cifre dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) oltre 8 milioni di persone sono sfollate in Ucraina. A queste si aggiungono circa 13 milioni di persone bloccate nelle aree colpite o impossibilitate ad andarsene a causa dei rischi per la sicurezza.
Gli Stati dell’Unione europea hanno al vaglio un sesto pacchetto di sanzioni per imporre un embargo sul petrolio russo, da giorni in stallo però a causa del veto di alcuni Paesi che temono di non trovare fonti di approvvigionamento alternative. Infine, mentre una ventina di Paesi sta valutando l’invio di armamenti a Kiev, quest’oggi il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba è tornato a fare appello esplicito a ulteriori forniture.
Il suo omologo russo, Sergej Lavrov, ha invece annunciato in conferenza stampa che Mosca intende “rafforzare i suoi rapporti con la Cina“, Paese che non sta mostrando quella “russofobia” che – ha detto Lavrov – si è diffusa in altri Paesi dallo scoppio del conflitto ucraino. Il ministro ha inoltre assicurato che il Cremlino sta prendendo misure per reperire altrove i beni che non può più importare dai Paesi occidentali e che in futuro il Paese stabilirà legami commerciali soltanto con quegli Stati “non legati all’Occidente”.
“C’è bisogno di un piano Marshall per la ricostruzione dell’Ucraina”. Così la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al World Economic Forum di Davos. “Dieci miliardi di aiuti sono la più grande somma che l’Ue abbia mai messo in campo per supportare un Paese terzo“, ha ricordato von der Leyen.
La piattaforma di ricostruzione proposta al presidente Zelensky sarà “guidata dall’Ucraina e dalla Commissione Ue, in modo da combinare riforme ambiziose e ingenti investimenti“. Per la ricostruzione dell’Ucraina “ci sarà bisogno del contributo di tutti“, ha concluso la presidente della Commissione Ue.