Fano (PU) – “Da una decina di giorni stiamo vivendo nella nostra famiglia un’esperienza temporanea di accoglienza e di condivisione diretta con un ragazzo ventenne del Gambia, Mamadou Fattì, che ha ottenuto da poco lo status di rifugiato con diritto di asilo in Italia. Nella vicinanza quotidiana cadono tutte le paure e le diffidenze”. Sono le parole di Maria Teresa Nannini, volontaria de L’Africa Chiama che sta ospitando il giovane.
Se Mamadou tornasse nel suo Paese, il più piccolo del continente africano e con 1.800.00 abitanti, andrebbe incontro alla pena di morte, decretata dal Presidente Jammeh, dittatore sanguinario, per tutti coloro che sono usciti dal Gambia, e sono tantissimi, perché è in atto una vera e propria fuga di massa per fuggire dal terrore e dai vari sistemi di tortura. Eppure chi scappa dal Gambia è un migrante “economico” e quindi la sua domanda di asilo politico viene rifiutata dalla Commissione Territoriale e poi, come nel caso di quasi tutti i gambiani in Italia, viene accolta positivamente dal Tribunale Civile.
“Molto bello vivere in una famiglia, sono molto fortunato perché mi vogliono bene tutti. Faccio qualche lavoretto in giardino e in casa e imparo molte cose”, dice Mamadou che ha lasciato in Gambia i genitori e una sorella, mentre un suo fratello vive in un Centro di prima accoglienza.
Dopo aver lasciato la sua terra e aver impiegato più di un mese, con un viaggio pericoloso e avventuroso, attraverso Senegal, Mali, Burghina Faso e Niger, è arrivato in Libia, dove ha lavorato per quattro mesi presso una famiglia a Tripoli.
Come tanti sventurati come lui, ha pagato 700 euro (quelli guadagnati in Libia) ai trafficanti di morte per salire a bordo di un gommone per l’attraversata del Canale di Sicilia, soccorso poi fortunatamente da una nave di salvataggio italiana. In questi due anni è stato accolto e seguito in Centri di prima accoglienza, prima a Candelara e poi a Magliano di Fano, a Cantiano e da ultimo a Calcinelli.
“Come volontaria de L’Africa Chiama – conclude Maria Teresa- sono stata venticinque volte in Kenya, Tanzania e Zambia per visitare i nostri progetti avviati da 15 anni, a sostegno delle fasce più vulnerabili e più svantaggiate della popolazione, in particolare bimbi malnutriti, orfani dell’aids, ragazzi di strada e disabili. Ma ormai l’Africa è qui fra noi e la presenza di tanti immigrati nelle nostre città e nel nostro territorio ci spinge ad agire per una migliore accoglienza possibile, ci interpella sulle cause di questo fenomeno immigratorio inarrestabile e ci stimola a fare ora, tutti insieme, azioni di cooperazione e di solidarietà internazionale per aiutare in concreto, e non solo a parole, questi popoli a vivere dignitosamente a casa loro, nella loro terra”.