Fano (PU) – La vita di Marco Pacassoni è stata dominata dall’intento e questo album ne è la dimostrazione: è il raggiungimento del fine che si era proposto, la realizzazione del suo desiderio più grande. Pochi giorni fa è uscito infatti il suo nuovo disco “Life” feat John Patitucci & Antonio Sanchez (Marco Pacassoni vibrafono e marimba, Jhon Patitucci contrabbasso e basso elettrico, Antonio Sanchez batteria).
In otto brani, (gli ultimi due sono libere improvvisazioni) si svela tutta la sua poetica, il suo mondo musicale fatto di semplici complessità (Time Vibes, Italian Creativity), di melodia (Anita), di progressioni armoniche intriganti (Valse à Trois), di tempi irregolari (Life), di danza (Marimbass e Train Trip) e di respiro (Un Lento Bolero).
Sì, perché questo disco respira ed è proprio lo spazio lasciato alla musica per respirare, la chiave di lettura dell’intero album. I virtuosismi contenuti nei brani, sono controllati e consapevoli, più simili a farfalle in un prato, che alle solite mosche impazzite chiuse in una stanza. John e Antonio sono entrati nella poetica di Marco in punta di piedi, con una delicatezza ed un rispetto per le composizioni che solo i grandi musicisti possono avere.
Nel creare insieme, perché aldilà delle partiture è quello che hanno fatto, si sono divertiti, hanno “giocato” e “suonato”, sintesi perfetta del doppio significato in alcune lingue del verbo suonare. Lo stile elegante e senza tempo di John ed il drumming acrobatico e pittorico di Antonio hanno abbracciato il nuovo modo di suonare di Marco, ovvero l’esigenza in trio di distribuire melodia ed accordi sulle sue tastiere.
I due pezzi finali li possiamo definire un campo neutro, il presente senza filtri, senza schemi armonici o ritmici prestabiliti, solo un “Rolling!”. E qui è evidente quanto i tre abbiano sviluppato – in così poco tempo – una pulsazione comune, perché non c’è metronomo nella registrazione, e quei perfetti accelerando o ritardando ne sono la dimostrazione (Conversation#1). Grooves che emergono dal caos, che da soli potrebbero essere la struttura portante di un altro disco; o l’entropia che dall’arco di John si trasforma in patterns appesi ad un filo (Conversation#2) e tutto cambia appena un nuovo elemento ritmico o melodico viene introdotto nel vortice. Sono splendide conversazioni trans-generazionali che di fatto sono, come già sperimentato nel secolo scorso, composizioni istantanee. E quindi come dice John alla fine di “Conversation#1″: ” Let’s hear that! “.